50% dolore e 50% paura
12 Settembre, 2024
illustrazione:Tang Yau Hoong
Ogni anno a settembre ad Osimo si tiene una manifestazione sportiva in piazza, dove tutte le società possono presentare le proprie attività facendo fare ai bambini giochi, esperienze e simulazioni.
Amedeo, in preda ad un furore sportivo di certo ereditato da qualche avo e non dalla madre, ci ha condotti per 4 ore tra tappeti elastici, canestri, pony e biciclette a sperimentare qualsiasi proposta.
Ora voi dovete capire una cosa, nel momento in cui io sono immersa in un clima denso di infanzie, di adulti educanti e attività ludiche, vengo posseduta da una deformazione professionale che devo contenere immaginando di legarmi la faccia con la maschera di Hannibal.
Anche oggi dal barbiere, mentre accompagnavo il figlio grande, una donna seduta accanto a me ha iniziato a descrivere una scena avvenuta poco prima del nostro arrivo, in cui il piccolo (ma manco troppo) di 9 anni durante il taglio era stato assalito da profonde angosce di morte e crisi di pianto. La sua conclusione, della signora, era che il barbiere precedente gli aveva ferito le orecchie per sbaglio e quindi terrorizzato a vita.
Io ho risposto che questo non sarebbe sufficiente per spiegare una reazione del genere e sono partita con la conduzione di un seminario non richiesto sulle paure infantili e le loro origini.
Ho avuto la decenza di abortirlo sul nascere quando mi sono accorta che lo sguardo della signora stava annegando nella noia. Anche perchè lei aveva già deciso che il bambino era stato vittima di un barbiere macellaio e fine della questione.
Quindi: la piazza era davvero gremita, tra bambini in preda a quelle che dopo il viaggio a Copenaghen ormai definisco crisi danesi (ve le spiegherò appena riuscirò) che intanto posso riassumere come crisi di stanchezza e relativa crisi dei genitori, tra coreografie hiphoppare improvvisate lungo il corso e una dimostrazione di judo senza tatami su un palco di legno e ferro, ormai a vita scavato dalle vertebre che si sono staccate dai judoka e conficcate sulle assi, tra tutte queste cose io cercavo di rimanere concentrata su Amedeo e tentavo di non perderlo.
Quando ci sembrava di essere ormai quasi salvi e poter andare finalmente a casa a sciogliere i muscoli contratti per tutte le volte che avrei voluto dire: “Senti carissimo, lo so che siamo tutti qua da ore in piedi e c’abbiamo i figli che ormai vogliono lasciare la scuola per riuscire a fare tutti gli sport. Lo so che ti si risveglia il ricordo di quando ti hanno obbligato a fare uno sport che non volevi fare o altre ferite non risolte. Lo so che la vita è dura e fa pure un caldo boia da settimane, ma santa miseria, lo vuoi lasciar stare quel bambino!! Ma te la smetti di imbruttirlo e dirgli che deve stare fermo e buono? Guarda, facciamo così, ci sto un attimo io qua con lui, tu vatti a bere un gin-camomilla tonic e poi torni bello sereno”.
Ecco, quando ero pronta per salpare verso casa, Amedeo scopre che i judoka di cui sopra, quelli rimasti illesi perchè gli altri suppongo siano stati portati via con l’eliambulanza, erano disponibili per una dimostrazione.
Perfetto. Ci accordiamo con Amedeo che quello sarebbe stato l’ultimo sport da provare e poi bona, tutti a casa.
Ci fanno compilare un documento con i nostri dati, probabilmente, visto quello che sarebbe accaduto da lì a poco, era una sorta di liberatoria del tipo “se parte una vertebra anche a lui noi ti abbiamo fatto firmare che non c’entriamo nulla”, gli mettono il judoji, gli legano una cintura bianca come la bandiera per chiedere pietà all’avversario e un ragazzo grande almeno 7 volte Amedeo lo porta sul tatami.
Io e Domenico ci sediamo su un marciapiede nel tentativo di sgonfiare le vene varicose ormai incipienti, e dopo pochi secondi vediamo Amedeo scoppiare a piangere.
E adesso inizia il vero senso di questo articolo, che forse fin qui era esercizio di scrittura (quanto mi manca scrivere in questo periodo ragazzi).
Amedeo piange disperato, dice che il judoka gli è piombato sopra, Domenico ex judoka conferma di aver assistito alla scena.
Io mi stringo la maschera di Hannibal e mi avvicino per ascoltare Amedeo e dare fiducia al ragazzo:
Fiducia che sarebbe stato in grado di gestire la situazione. Il ragazzo, allenatore di judo per bambini.
Ecco la sua gestione:
J: Amedeo non ti sei fatto male. Hai avuto paura.
A: No, mi sei caduto sopra, mi hai fatto malissimo.
J: Quello che non si chiama dolore, ma paura. È la paura che ti fa piangere, vero che hai avuto paura?
A: Non ho paura, tu mi sei caduto sopra.
(Amedeo toglie il calzetto come prova inconfutabile)
J: È un po’ rosso. Ma questa è paura. Tutti i bambini che vengono dicono che si fanno male, ma è paura.
A: Nooo, tu mi sei caduto sopra e mi hai fatto male.
J: Allora facciamo così, 50% paura e 50% dolore.
Quando ha iniziato a cercare di negoziare l’emozione di Amedeo come se fosse stato uno scampolo in vendita in uno stock al mercato, le parole mi sono uscite di bocca squarciando la maschera.
Quello che ho iniziato a dire è stato più o meno questo: “Scusami se mi permetto di entrare nella situazione ma sono la madre, sto osservando la situazione e mi sembra che stia degenerando, anche perchè Amedeo continua a piangere e credo abbia bisogno di comprensione e vicinanza.
Quello che stai facendo è una forma di manipolazione e non posso fartela passare. Io capisco che ti stai vergognando, stai facendo fare delle prove ai bambini che dovrebbero iscriversi al tuo corso e ne hai appena lesionato uno, capisco che forse sei in imbarazzo.
Ti rassicuro che non sono arrabbiata per quello che è successo, ma inizio a essere parecchio infastidita dal tuo tentativo di spostarlo dalla sua emozione.
Ho visto la scena, gli sei caduto sopra e gli hai fatto male.
Amedeo pesa 20 chili, tu a occhio e croce una novantina, credo che il dolore sia reale, anche perchè ha un piede che è un peperone ora.
Ti chiedo gentilmente di non cercare di depistarlo da quello che sente.”
Il judoka, che ha ancora gli schizzi del midollo spinale dell’avversario schiantato prima sul palco, si lancia in una descrizione del suo metodo di lavoro che è più o meno questo: i bambini da lui piangono, lui dice a tutti che quella è paura e devono smetterla di averla perchè non c’è niente di cui aver paura e che glielo dice perchè sennò tutti vogliono la mamma. Sostiene che funziona perchè nessuno piange più, si lamenta, o desidera cercare conforto nei genitori, insomma la distruzione delle intime percezioni emotive.
Dopo aver valutato l’impossibilità di costruire un dialogo e lasciando sul tatami la mia chiosa “tu sei l’ultima persona che dovrebbe lavorare con i bambini e se proprio vuoi farlo vai in terapia o fatti qualche corso per capire come funziona la loro psiche”, me ne sono andata.
Ci tengo a dire che non sono preoccupata per Amedeo, non temo le avversità della vita finché i miei figli, in attesa di riuscire da soli a tutelarsi, avranno accanto adulti in grado di mostrar loro come si fa.
Ma sono molto preoccupata per il carattere pervasivo di questa dinamica.
Tentare di spostare un bambino da quello che sente perchè l’adulto teme la legittimazione di quel vissuto interiore che potrebbe metterlo in discussione, come ad esempio dire a un figlio “capisco che ti senti umiliato dalle mie parole”, è un fenomeno pericoloso e nocivo.
Esattamente uno, tra tanti, che può condurre il figlio un giorno ragazzo e poi uomo, molto distante dal suo sentito profondo, lontano fino al punto in cui il dolore potrebbe esplodere in modo inatteso e/o violento e far dire a tutti “ma era tanto un bravo ragazzo”.
Era tanto un bravo ragazzo al quale è stato detto che quello che provava non era vero, che si sbagliava, che non era stato capace di entrare in contatto con se stesso e poi il sé esplode.
Crescere in questo modo conduce anche all’esser facili prede di manipolatori.
Hai voglia poi a fare i quiz per capire se “stai con un narcisista?”.
Ripetiamo tutti insieme: l’infanzia è la culla del benessere mentale degli adulti.
Per questo dovrebbe essere maneggiata con molta cura, con i guanti della maturità, con la saggezza della conoscenza, con la cautela con cui si sposta il futuro dell’umanità.
Quindi basta manipolare le emozioni e se lo avete fatto basta farvi sensi di colpa, capite perchè lo avete fatto e smettete da domani.
Se non sapete perchè vi offro una delle principali ipotesi: eravate bravi bambini e vi portate dietro la sensazione che se sbagliate qualcosa perdete l’amore.
Una delle più infime delle informazioni inconsce.
Ancora una volta: l’infanzia è la culla del benessere mentale degli adulti.
Dai che ce la facciamo, insieme.
Quello sempre, insieme.
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