Il primogenito è un agnello sacrificale

10 Dicembre, 2024

Illustrazione: Manel Villalonga


I primi figli pagano caro il prezzo di essere in cima alla catena filiare.
Vittime delle inconsapevolezze genitoriali, delle aspettative di chi ha già deciso come dovrà essere la genitorialità senza averla mai esperita.
Un delirio di competenza quello dei genitori al primo figlio.
Su di lui si riversano le più grandi paure, i più profondi desideri, le immagini romantiche di una vita sognata dove il bambino sembra il protagonista ma in realtà è sottomesso all’ideale genitoriale.
I primogeniti ne pagano caro il prezzo.
Si sentono di dover essere all’altezza, prestanti, sufficientemente adeguati, capaci e brillanti.
Se vi riescono possono rimanere intrappolati nel copione del figlio “bello, bravo e buono”, bacchetta magica della famiglia, capace di trasformare sogni in realtà.
Rimangono arenati in un sogno, come pupazzi dentro una palla di neve.
Meravigliosi esecutori, pessimi imprenditori, intendendo con questo termine colui che esercita la capacità dell’impresa, eroica, epica, non economica.
Quando invece non riescono a sostenere il ritmo delle pretese, vivono profondi drammi interiori, con crisi di frustrazione, dolore schiacciante e manifestazioni eclatanti.

“Il primogenito era una prova da dare agli altri di essere capace” mi dice oggi una mamma.
Con sincerità testimonia il suo vissuto e ne intercetta quello di gran parte dei genitori.
Perché chi lo è per la prima volta viene osservato, scrutato dal mondo attorno, pronto a dare consigli e sostituirsi. E di fronte a quello sguardo indagatore, non tutti hanno la forza, capacità e strumenti per andare oltre, mettere a tacere i giudici esteriori ed interiori e il bambino deve per forza essere all’altezza, sennò ci faccio una brutta figura, pensano i genitori.

Lo amano il primogenito, è indubbio.
L’amore non è mai messo in discussione.
Ma di un amore condizionato, vincolato dai prodotti, dalle prodezze e dai risultati.
Viene detto che non è vero, ma poi una crisi in mezzo ad una piazza al genitore gli piazza una pietra nello stomaco e vorrebbe che il figlio smettesse subito.
Dicono che non è così, ma poi i fallimenti del bambino (ragionevoli inciampi nella crescita) lo deludono.
Non lo fanno intenzionalmente, con profonda sincerità desiderano il contrario, ma la psiche è insidiosa e prende possesso della volontà, riportando a galla antichi copioni, dolori latenti e ricordi sommersi.
In questi genitori non c’è cattiva volontà, tutt’altro, ma il peso di un’infanzia, la loro, che gli esplode tra le mani.

I primoGemiti, si sacrificano per la consapevolezza dei loro genitori.
Capretti offerti alle divinità per ottenere la grazia.
Accettano spesso la condizione, non possono fare altro.
Su di loro di abbattono come monsoni le infanzie irrisolte dei genitori che li stanno crescendo.
Si scatenano i venti furiosi che erano stati faticosamente chiusi dentro bauli e sigillati con scotch e catene.
Si riversano come colate di fango le mancanze e le vulnerabilità.

Ai primi dobbiamo molto noi genitori.
La clemenza che ci hanno riservato chiedendoci come stavamo dopo che li avevamo aggrediti urlando.
A loro dobbiamo la pazienza e la costanza nel riuscire ad amarci nonostante tutto.
Ai primi dobbiamo le nostre competenze, non ai libri, lì abbiamo solo trovato conferme, ma ai primi figli dobbiamo le capacità sviluppate mentre tramite loro ci allenavamo ad un compito che non conoscevamo.

Non sapevamo e loro ci amavano.
Non eravamo pronti e loro ci accettavano.
Non siamo stati all’altezza e loro ci sorridevano.
Non riuscivamo a vedere il loro dolore e loro ci perdonavano.
Dopo le nostre frane erano i primi ad imbracciare una pala e scavare per riordinare.

Il giorno in cui ci accorgeremo quanta amorevole presenza e delicata purezza abbiamo incontrato crescendo accanto a loro piangeremo per 3 mesi notte e giorno senza tregua.
Quando sentiremo le ferite che abbiamo tracciato e le medicazioni che si sono applicati da soli i nostri cuori si squarceranno in due.

L’umanità ai primogeniti deve davvero molto.
Parte dell’evoluzione e sopravvivenza dell’umanità su per giù.
Ringraziamoli ma poi liberiamoli dalla vita in cattività.
Dallo zoo dei nostri fantasmi infantili, facciamoli evadere e rendiamoli selvaggi.
Liberi e capaci di seguire le loro vocazioni, i loro desideri, di progettare il loro futuro e pronunciare i loro mondi interiori senza più paura di ferire, deludere, inciampare nel cuore di un genitore.
Liberi di essere nella propria vita, senza più dover servire padroni interiori che non abbiano la loro voce, la propria, dei meravigliosi bambini che sono.

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