È chiedere troppo che un insegnante sia professionista?
15 Settembre, 2024
illustrazione: Sarah Walsh
Da pochi giorni le scuole sono iniziate e i genitori iniziano a confrontarsi su quello che sta succedendo nelle classi dei loro figli.
Si scambiano pareri e talvolta dichiarano “siamo stati fortunati quest’anno” oppure il suo contrario, riferendosi all’aver incontrato un insegnante professionista o, va da sé, il suo contrario.
Oggi come ogni, anno da 15 anni, la domanda che mi rimbomba in testa, questa sera così forte da non riuscire a prendere sonno perchè ho bisogno di dichiararla è: ma è chiedere troppo che un insegnante sia professionista?
È fare una richiesta inopportuna che un insegnante sappia come funziona un bambino?
È eccessivo chiedere che abbia basi solide di pedagogia e didattica?
Può davvero essere un caso che sia consapevole delle sue azioni e del suo agito educativo?
A quanto pare sì.
E questa sera, ho bisogno di indignarmi.
Sono ancora tiepide le conversazioni di tutti noi rispetto agli ultimi casi di cronaca, le domande sospese di chi si è chiesto come sia stato possibile che un ragazzo tanto bravo abbia ucciso i suoi genitori e suo fratello, Einstein lo definivano.
Altri si stanno domandando perchè il loro figlio adolescente non parli più, si sia chiuso in una bolla.
C’è chi si tormenta e danna l’anima alla ricerca del motivo per il quale il proprio figlio ha iniziato a usare sostanze ed abusarne.
Tra chi si chiede perchè dei ragazzi si uniscono per picchiarne un altro e quelli che non riescono a riprendersi da un suicidio troppo precoce, si alzano da anni le voci dei professionisti.
Noi pedagogisti e psicologi sono anni che ripetiamo a voce alta che tutto questo ha radici nell’infanzia.
La perdita del sé, lo smarrimento interiore, l’inaridimento delle proprie giungle espressive, la fragilità e la distruzione della propria autostima, la sofferenza e la paura, hanno tutte origine nell’infanzia.
Negli stimoli ricevuti.
Nelle relazioni abitate.
Negli adulti che hanno sostenuto il percorso.
E allora, torno alla domanda tormentosa.
Se sappiamo quanto sia importante che vengano applicate premure e attenzioni durante gli anni dell’infanzia e poi ancora dell’adolescenza, perchè dovrei sentirmi in difficoltà o quasi polemica, a chiedere e pretendere che una persona, adulta, che sceglie di lavorare con i bambini, che deve aver conseguito titoli per i quali deve pertanto aver studiato lo sviluppo infantile, che ha firmato un contratto con lo Stato scegliendo di assumersi ogni giorno la responsabilità dei bambini e ragazzi che incontrerà, sia in grado di svolgere il suo lavoro?
La rassegnazione dei genitori, e talvolta dei colleghi, l’accettazione di questo stato delle cose è la sconfitta quotidiana nella partita dei diritti infantili.
I bambini hanno diritto ad una sana e saggia istruzione, ad una scuola ben fatta e lo Stato, obbligandone la partecipazione, chiama a raccolta gli adulti nella gestione della responsabilità collettiva per renderlo reale e presente.
La scuola è il cannocchiale della vita, moltiplica l’orizzonte, mostra la lunghezza delle traiettorie future.
La scuola è mongolfiera per osare, per vedere il mondo dall’alto.
È veliero per solcare le onde delle ostilità e veleggiare sempre più in là, sempre verso nuove e feconde isole.
La scuola ti salva, per questo non può essere lo stesso luogo che rischia di farti annegare.
È il campo dell’espressione personale, della strutturazione identitaria, della scelta sociale, del “chi voglio essere da grande” e “in che mondo sono finito”.
Per questi motivi e per molti altri, i bambini non possono più avere insegnanti che non sanno cosa stanno facendo.
Insegnati che urlano.
Insegnanti che minacciano.
Insegnanti che puniscono.
Insegnanti che usano premi per spingere i bambini a competere, a essere gli uni contro gli altri.
Insegnanti che mettono voti ai disegni facendo concorsi di bellezza senza minimamente avere consapevolezza di quanto quella produzione sia slegata dal concetto estetico e sia invece connessa alle intime espressioni di sé. E se un insegnante scinde questo profondo legame tra produzione e essere è reo di censura, ha appena tolto la parola ad un bambino.
Insegnanti che fanno commenti sui bambini come se non stessero ascoltando e capendo che di loro si parla.
Insegnanti che non conoscono le leggi della psiche.
Insegnanti che non si fermano di fronte alla loro incapacità, in un grande atto di consapevolezza e autovalutazione, e continuano a perseverare nei loro errori generazione di bambini dopo generazione.
Questo non è un attacco alla scuola statale, è esattamente il suo contrario.
Questo articolo è invece la dichiarazione del mio credo nella scuola, del mio amore verso il diritto all’istruzione, è la mia lettera di vicinanza a tutti gli insegnanti professionisti che con fatica si barcamenano tra tanti che non lo sono.
È una lettera aperta di difesa della scuola, che deve essere in grado di accogliere i bambini e per farlo deve essere abitata da professionisti.
Non sono più disposta a vedere bambini in difficoltà perché gli adulti hanno paura di dire ad altri adulti che lì non ci possono stare, che combinano danni.
Io dico basta.
Non mi unirò alle file del “è sempre stato così”, allora tornate nelle case senza bagni, nei paesi senza fogne, nei mondi senza medicine, nell’era senza comunicazioni rapide. Perchè l’evoluzione dovrebbe andare avanti per tutto tranne che per i diritti dei bambini e delle bambine?
Questo è l’anno in cui mi batterò in prima linea, ancor più di quanto non abbia già fatto per dare il mio contributo pieno e vivo alla scuola statale.
La scuola è di tutti e quando qualcosa è di tutti, tutti siamo chiamati a tenerlo bene, alla sua manutenzione, alla condivisione dello sguardo su quel che accade, alla sua difesa.
La difesa della dignità dei bambini non è una battaglia, no.
È un dovere civico, un atto di tutela della vita e la risposta me la dò da sola arrivando alla fine di questo articolo.
No, non è troppo chiedere che un insegnante sia professionista.
È esattamente ciò che mi aspetto, così come mi aspetto che l’architetto mi progetti una casa in grado di star su e non sono fortunata che lo faccia.
Non sono fortunata che il medico che mi opera al cuore lo trovi a caso aprendo un punto qualsiasi del mio corpo.
Non sono fortunata che il pilota dell’aereo mi faccia atterrare viva.
Non sono fortunata che lo chef non mi avveleni.
Si chiama professionalità e chi non la ha, è nel posto sbagliato.
Non sono i bambini ad esser sbagliati.
Se siete genitori o insegnanti e state assistendo dentro la scuola a situazioni non rispettose dei bambini, piccole o grandi che siano, non tacete, non affogate l’istinto di reagire nella tinozza del silenzio.
Se non sapete cosa fare scrivetemi, sarò lieta di raccogliere le vostre storie, di darvi strumenti, supporto, conoscenze e buone pratiche per ribellarvi. Potete farlo a emily@pedagogiadinamica.com
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