
Il mio cuore è un elemento architettonico
16 Luglio, 2025
Illustrazione: Anastasia Stefurak
Da accompagnare con Monochrome di Yann Tiersen
La casa in cui vivo ora è la casa dei miei sogni infantili.
Non che fossi cresciuta in una casa da spingermi facilmente a desiderarne altre, anzi, quella della mia famiglia mi sembrava un castello con pozzi nascosti, stanze segrete, cantine piene di cimeli e magazzini colmi di scatole dove nonna ordinatamente disponeva oggetti che un giorno sarebbero dovuti tornare utili.
A volte, rare, accadeva e questo giustificava l’accumulo costante ma armonico di amene irregolarità inutilizzabili.
Battezzata da quel palazzo, il mio sguardo ha continuato a cercarne di simili, popolati dalla medesima complessa e affascinante identità.
Quella dove mi trovo ora, per poco ancora, e dove sono stata per otto anni, si trova poco distante da quella dei miei. Lo è sempre stata, così come è stata sempre chiusa da che ne ho memoria.
Sognavo con fame bambina di potervi entrare ad esplorarla.
Eravamo in molti a fantasticare su questa casa, mi è stato detto e lo noto dagli sguardi di chi vi passa sotto, so riconoscere il sospiro anelante.
Ha statue simili a gargoyle, mezzi busti e teste che escono da muri e soffitti, ha una torre per avvicinarsi alle stelle nelle notti ispirate o malinconiche.
Una cinta muraria che permette di vedere parzialmente e lasciare che il resto lo crei la propria immaginazione.
Ogni particolare è inedito, eccentrico, stupefacente.
Ha una sua anima, l’ho sentito dalla prima volta che ci sono entrata e non ha mai smesso di respirare, trattenendo e poi lasciando andare.
L’ha fatto con molte cose, persone, situazioni e ora lo sta facendo con me, con noi.
Come un onda che arriva da dietro, mi sospinge dolcemente verso l’uscita.
La nuova casa che presto ci ospiterà mi ricorda nonna, che siano forse tutti i miei mutamenti, un nostalgico viaggio all’indietro alla ricerca dell’umano che più di ogni altro mi ha insegnato ad amare e rimanere ancorata alla vita, nonostante i marosi.
Una costante ricerca della vitalità e del radicamento al volerci stare, nonostante tutto.
Ma io lo so dov’è nonna.
È dentro le scatole ereditate che mi trascino da una casa ad un’altra.
Sono piene di cose inutili ma contengono la cosa più preziosa e irreperibile.
Il suo odore, intrappolato dentro ognuna di loro, incastonato tra i bottoni, piegato nella velina che contiene le cerniere.
È negli occhi di Zia Lara, anziana ed elegantissima come era nonna.
È nel mio sguardo verso il mondo, ingenuo talvolta ma ostinatamente fiducioso.
È nelle piume degli uccellini sopra i camini.
È nel vuoto dove un giorno precipiterò anche io.
È nella libertà che mi ha invitata a inseguire per non rimanere intrappolata come lei, Raperonzolo blindata nella torre, anche per questo me ne vo, per non rimanere fedele ad una prigionia fatta di mattoni incantati.
Assaporo questo lutto, questo dover lasciare la casa con intensa contemplazione .
Inscatolo, butto, sono una tassonomista di ricordi.
Mi impongo rigide regole e osservo la casa vomitare nuovi oggetti quando mi sembrava di esserci quasi.
Celebro funerali quotidiani negli angoli, sopra le mensole, scrivo orazioni per i biglietti del treno di quel viaggio prezioso e publico epitaffi per gli asciugamani che mi hanno aiutata a pulire il cuore da tante ostinate macchie.
Fermo gli attimi e faccio foto alle danze del mondo attorno a me.
Riconosco la vacuità di tutto questo soffermarmi su cose piccole come un trasloco, ma per chi ha incistata la casa d’infanzia tra i polmoni, questo cercare di afferrare il senso di un salotto ben illuminato, di una tenda scostata che lascia intravedere l’intima familiarità, di sognare vite in qualsiasi casa, di intravedere una speranza in ogni annuncio, è un processo incontrovertibile e intimamente appagante.
Se pertanto, in questa fase, tra i miei sorrisi vi capitasse di vedere una lacrima da Pierrot sulla mia guancia, è il segno di quel che resta dopo che le persiane si chiudono.
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